lunedì 24 aprile 2017

L'unno sulla Dora

Dopo gli Astronauti e i nuovi miti antichi, oggi vorrei tornare a chiacchierare dell'idea luccicante e del racconto come mosaico, considerazioni di qualche settimana fa. Proprio per seguire quelle idee vi mostrai una necropoli gota in riva alla Dora e due crani deformati artificialmente ritrovati sul sito, per poi passare alle deformazioni craniche artificiali e alla constatazione che gli ostrogoti adottavano questa buffa usanza, e che essa aveva preso piede tra la classe nobiliare ostrogota durante il periodo di soggezione agli unni, un centinaio di anni prima del loro arrivo in Italia.

Tutto questo per arrivare a dire che unni e ostrogoti avevano una stessa predilezione per l'arte di deformarsi il capo in modo da avere la testa a punta.

E a quel punto uno si chiede: e se in quella tomba non ci fosse stato un goto, o anche due, ma un unno?

Altrettanto, se non più facile ancora, è chiedersi: cosa ci fa un unno, abitante della steppa euro-asiatica, in Italia settentrionale e, per di più, in un villaggio goto?

Ok, la storia qui si fa interessante, perché uno crede di sapere tutto di questi strani popoli barbarici, e poi, invece, scopre altro, e altro, e altro ancora. Fino a rendersi conto che, in verità, quello che si sapeva era quanto meno impreciso. E anche un po' mitologico. Perché gli unni sono entità enigmatiche e complesse almeno quanto i fantomatici uomini di Atlantide: a detta delle testimonianze storiche c'erano, ma nessuno sa bene come fossero, da dove venissero, come parlassero, come scrivessero - sempre che lo facessero, e via dicendo.

Cosa si sa, con esattezza, di questi unni, allora?
Un'informazione attendibile noi la sappiamo già: deformavano artificialmente il cranio dei nuovi nati.

Un'altra cosa di cui possiamo essere abbastanza sicuri è che venivano dalle steppe asiatiche, su cavalli piccoli e tozzi, e che la loro arma più temibile era l'arco composito, un arco dalla gittata e dalla forza d'impatto micidiale per l'epoca. E usavano anche un lazzo con cui accalappiavano i nemici durante il combattimento per trascinarli a terra e finirli; non usavano combattere in ordine campale (niente schieramenti in file disposte e ordinate), ma formavano delle bande organizzate probabilmente in posizione di cuneo, che attaccavano e si ritiravano, attaccavano e si ritiravano, senza lasciar il tempo al nemico di disporsi e affrontarli in uno scontro organizzato.

E sappiamo anche che erano cattivi, molto cattivi. Perché la loro strategia era: ti faccio davvero tanto male, perché quando vengo a contrattare e ti chiedo vagonate di oro per starmene buono, tu paghi senza nemmeno provare a ingaggiare una misera battaglia.
Chi pagava, naturalmente, erano i popoli confinanti: regni o imperi che fossero.

Ma quanti erano, questi unni? (voce alla Alberto Angela)

Ecco, qui la cosa si fa intrigante se pensiamo che gli unni, o meglio, gli unni originari, dovevano essere una tribù piuttosto esigua che, per ferocia e abilità, si ritrovò a sottomettere e spadroneggiare sulle genti che le vivevano intorno. Le genti potevano essere di razze completamente diverse da loro e tra loro.

Prendete a esempio gli ostrogoti, razza germanica che ritroviamo come federati (una sorta di esercito amico a pagamento) degli unni nella famosa battaglia dei Campi Catalaunici (451), quella in cui i romani si scontrano contro gli unni di Attila per il possesso delle terre della Gallia. E in effetti fa difficoltà immaginarsi l'intero esercito di Attila, con i suoi 500.000 e rotti uomini, formato unicamente da unni delle steppe. Probabilmente, gli storici affermano, vi era una confederazione di popoli che facevano di tutto pur di ottenere un riconoscimento dalla casta egemone unna, persino deformarsi il cranio artificialmente come loro.
Un po' come i popoli italici ed europei, che, entrati nell'orbita romana più o meno consenzientemente, aspiravano a prendere la cittadinanza romana per acquisire certi diritti.

Ma questo non risponde ancora alla domanda principale: come ci sono finiti gli unni in Italia?

Quando uno si immagina l'impero romano e i barbari, vede da una parte gli evoluti romani guerrieri invincibili di pura razza latina e dall'altra i barbari, tribù isolate, disordinate e incivili.
Ebbene, per quanto possa sembrare strano, l'epoca romana e quella immediatamente successiva furono epoche di globalizzazione. I popoli si scambiavano artefatti, materie prime, ma anche alleanze e forze militari.

Il tempo dei legionari era passato da un pezzo. Ora solo i romani sfigati erano forzati ad arruolarsi. Il modo migliore per procurarsi un esercito era comprarsene uno già bello e pronto, che di solito era un esercito di barbari. Per questo, parlando dell'esercito che Giustiniano imperatore romano d'oriente manda in Italia per riconquistarla durante la guerra greco-gotica (535-553), lo storico Procopio ci dice:

Allora l'imperatore mandò Belisario per mare con quattromila soldati delle truppe regolari e federate e circa tremila Isauri (un popolo locale definiti briganti della regione nel sud della penisola anatolica - NdR). E i comandanti erano uomini di nota: Costantino e Bessa dalla terra di Tracia (da notare che Bessa era appartenente all'etnia gota stanziata in Tracia, un piccolo gruppo di goti che non aveva seguito visigoti o ostrogoti nei loro spostamenti verso l'Europa occidentale nei secoli precedenti- NdR), e Peranio dall'Iberia (non la penisola Iberica d'oggi, ma una zona a ridosso del Caucaso rintracciabile nell'odierna Georgia; in quel tempo l'Iberia era sotto il dominio persiano, ma Peranio aveva disertato per passare all'impero romano - NdR); [...] E c'erano anche duecento unni come alleati e trecento mori.
(Procopio di Cesarea, Storia delle guerre, Libro V, cap. V)

Questo vuol dire che l'Italia, nel ventennio delle guerre gotiche, ha visto marciare sulle sue terre soldati di razze diverse. Questi, a seconda della loro fortuna, venivano catturati e inglobati nell'esercito dell'uno o dell'altro contendente.

Che tra questi soldati ci fossero anche degli unni è una certezza, come lo dice anche Procopio. Ma anche prima delle guerre, sempre Procopio ci informa che il re Atalarico, o meglio, la reggente Amalasunta sua madre, era in trattative con l'imperatore d'oriente per la restituzione di un gruppo di soldati unni disertori dalle campagne in Africa (534-535) contro altri barbari: i vandali.
...Era stato fatto intendere che l'imperatore avesse mandato Alessandro come inviato ad Amalasunta a causa degli eventi di Lilybaeum (un porto di importanza strategica in Sicilia - NdR) e perché dieci unni dell'armata di Libia erano fuggiti, raggiungendo la Campania, e Uliaris, custode di Napoli, li aveva ricevuti con l'approvazione di Amalasunta...
(Procopio di Cesarea, La guerra gotica, libro V, cap. III)

A questo punto, l'ipotesi di unni in Italia all'indomani della fine della guerra greco-gotica non sembra più tanto strampalata. Anzi, si presenta quasi come un buono spunto narrativo, a pensarci bene: un unno sepolto con onore tra goti, in un territorio abitato da goti... cosa ci poteva mai fare?

Io un'idea ce l'avrei, ma magari ne riparliamo una delle prossime volte.










2 commenti:

  1. Insomma stai diventando l'indagatrice del mondo barbaro :D
    Mi dici le edizioni delle opere di Procopio che hai preso?

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Non ho un'edizione cartacea. Prendo quelle dalle libere biblioteche su internet: Project Gutenberg, per capirsi, ma la versione che hanno, che poi è la stessa del cartaceo, ha una traduzione ottocentesca da far piangere per cercare di capirci qualcosa. Uso volentieri quella in inglese (https://en.wikisource.org/wiki/History_of_the_Wars). Anche i frammenti che ho riportato vengono da quel testo, tradotti più o meno alla lettera dalla sottoscritta. :)

      In ogni caso, le informazioni sugli unni non vengono da Procopio, ma essenzialmente da Ammiano Marcellino e Prisco, storici dei secoli precedenti. E se hai pazienza, almeno del secondo ne parliamo un po' la volta prossima.

      Elimina