venerdì 19 maggio 2017

L'anno delle code di cavallo


Come vi avevo detto lo scorso lunedì, eccomi qui, nel tentativo di incrementare la frequenza delle nostre chiacchierate.
E quale modo migliore di farlo se non quello di prepararsi al fine settimana parlando di letture?

Tempo fa, in un altro post, vi raccontavo della differenza tra fisionomia iranica e fisionomia mongolica e vi citavo un brano di R.F. Tapsell tratto da L'anno delle code di cavallo.
Che detto così non fa molta impressione. Anzi, fa quasi sorridere, perché se almeno da noi, in quest'isoletta sperduta tra Malesia e Indonesia, l'anno del cavallo ha un senso per il calendario cinese, l'anno delle code di cavallo potrebbe far pensare a una commedia non troppo brillante.

Eppure, The year of the horsetails non ha nulla di comico. Anzi, si tratta di un bel romanzo storico a cui sono molto affezionata, nonostante tutti i suoi piccoli difetti.

Da dove iniziamo? Dai suoi difetti o dai suoi pregi?
Ma no, iniziamo dalle origini delle mie simpatie.
Prima di tutto, il suo autore. R. F. (Robert Frederick) Tapsell. Non negherò che, una volta letta la sua vita, non ho potuto fare a meno di provare un moto di simpatia nei suoi confronti. In fondo, mi sono detta, abbiamo più di qualcosa in comune.

La sua biografia su Wikipedia recita:
Nato nel 1936, in Croydon, Surrey (ora South London)...
Già a questo punto la mia curiosa affinità con lo scrittore ha iniziato a sorprendermi. No, non per la data, che non ci accomuna in alcun modo, ma per il luogo, perché io conosco bene Croydon. Nella ridente cittadina di Croydon ci ho vissuto tre anni e mezzo della mia vita, quando era già quinta zona di Londra. Chi può mai conoscere Croydon, a parte me, il signor Tapsell e una schiera di immigrati che tentano di imparare l'inglese mantenendosi con un lavoro part-time in uno Starbuck's.

Ma poi si va avanti:

... Tapsell ha scritto tre romanzi storici...

Anche qui ci troviamo in sintonia: il genere storico.

... Durante il Servizio Militare nella Royal Air Force (RAF) fu addestrato per diventare un interprete di lingua russa. Più tardi lavorò nell'intelligence militare come specialista dell'Europa dell'est ... Nel 1960 iniziò gli studi alla scuola degli studi di cultura slava e dell'Europa dell'est alla London University. ... Viaggiò in lungo e largo per l'Europa dell'est, nei Balcani, in Egitto, ecc. ecc.

Ecco, a parte il viaggio in Egitto e il master all'Università di Londra, e naturalmente il servizio militare, i nostri interessi giovanili sono molto simili. Non a caso la mia laurea in Lingue e Letterature straniere prese a suo tempo un indirizzo in filologia slava. E i viaggi degli anni universitari si concentrarono per lo più nella zona dei Balcani.

Il che non vuol dire nulla, ma l'idea che un britannico abbia avuto esperienze simili alle mie per poi arrivare a scrivere un romanzo storico su unni e slavi... diciamo che mi ha reso la lettura del suo romanzo più accattivante. Tanto più quando ho scoperto che il romanzo in questione non parla di barbari nel modo convenzionale, cioè nel loro primo incontro-scontro con i romani. Al contrario, di romani non c'è traccia, perché qui si racconta qualcosa di cui le fonti classiche non danno testimonianza: il primo arrivo degli unni nelle steppe europee e i primi scontri contro un popolo che ancora non viene chiamato slavo.

Il protagonista non è né un unno, né uno slavo, ma un guerriero Saka, popolazione di origine iranica che i romani identificavano con gli Sciti. Una bella pensata, che rende bene l'idea delle dinamiche dell'etnogenesi: fenomeno che implica la creazione di uno stato di popoli diversi riuniti sotto una tribù o un gruppo etnico leader e che assumono abilità, usi culturali e obiettivi comuni del gruppo dominante.

Come ho detto, dei primi incontri tra popoli della steppa asiatica e quelli della steppa europea non sappiamo molto, se non quello che ci viene tramandato da storici romani che di terza o quarta mano annotarono leggende locali. Eppure Tapsell è riuscito a dar vita a una ricostruzione storica davvero convincente.

La trama è semplice: i cattivissimi unni arrivano e distruggono tutto. I bravi guerrieri-contadini slavi tentano una resistenza, ma solo grazie alla maestria del guerriero Saka, una volta ufficiale degli unni e adesso fuggiasco, riescono a respingerli oltre i monti - i Carpazi.

I difetti del romanzo: quanti ne volete! I personaggi hanno una profondità psicologica poco più che abbozzata, la scrittura a volte risulta un po' pesante, con tutti quegli aggettivi a grappoli intorno ad un unico sostantivo.

Ci sono persino piccole inesattezze storiche, secondo me infilate consapevolmente in favore di una trama più coinvolgente (gli unni impararono a gestire un assedio solo dopo essere entrati in contatto con i romani, grazie ai prigionieri di guerra che insegnarono loro come costruire le macchine d'assedio, mentre la scena memorabile del libro racconta proprio un assedio alla maniera romana, o quasi).

Eppure...

Eppure, quando Tapsell racconta la battaglia, o degli assalti unni portati avanti dagli stendardi decorati con le code di cavallo, si riesce non solo a vedere la guerra davanti agli occhi, ma a capirne le logiche tattiche, ad assaporarne le possibilità strategiche e persino a sentire l'odore dell'adrenalina aggrappato agli uomini. Il lettore assiste a lanci di proietti dalle mura e nelle mura, resta attonito davanti al potere devastante del fuoco nelle praterie, freme agli scontri tra fanteria e cavalleria, e sente il terrore serpeggiare tra i protagonisti posti di fronte a questi invincibili diavoli della steppa.

Ecco, di difetti ce ne sono, come si è visto, ma ci sono anche molti pregi che varrebbe la pena di scoprire. Peccato che The Year of the horsetails non sia tradotto in italiano. E dubito che qualcuno si prenderà mai la briga di farlo.





















Nessun commento:

Posta un commento